Riflessioni su “La scuola pianistica chopiniana”
- Pubblicato da Adolfo Capitelli
- il 1 Luglio 2013
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- Filtsch, Mathias, scuola pianistica chopiniana
Forse, oggi giorno, uno dei motivi di rammarico più grande in campo pianistico è il non aver a disposizione una metodologia di studio ed esecuzione pianistica del grande compositore polacco. Chopin fu uno dei pochissimi grandi esecutori a non aver lasciato un metodo che tramandasse la sua prassi esecutiva; eppure tutto ciò va in netto contrasto con la sua fervida attività di didatta che fu tra l’altro la sua maggiore fonte di sostentamento economica e che mantenne praticamente inalterata, salute permettendo, per tutto il corso della sua esistenza.
Ma in effetti, a tutto ciò ci sono delle possibili spiegazioni. La prima è che la quasi totalità dei suoi allievi fu di provenienza nobile; motivo per il quale, studiando per diletto e non per servirsene come di una professione, probabilmente se si esibì, lo fece nei rinomati salotti parigini delle grandi personalità per beneficenza o a scopo puramente ludico, senza quella continuità e pubblicità necessaria che creasse una buona cassa di risonanza all’evento. Inoltre pochissimi di questi allievi ebbero o cercarono di avere una carriera musicale per cui nessuno si occupò di insegnare ciò che era stato appreso dal Maestro polacco. Unica eccezione fu G. Mathias, che ricoprì il ruolo di insegnante di pianoforte presso il Conservatorio di Parigi, ma che forse non ebbe la statura artistica necessaria per ricoprire un ruolo così importante. Ci furono anche allievi considerati di certo futuro artistico: tra questi va sicuramente annoverato il pianista transilvano C. Filtsch, che riuscì a commuovere il suo maestro e a far pronunziare parole di elogio allo stesso Liszt (“… quando questo ragazzo crescerà, sarò costretto a chiuder bottega …”), ma purtroppo morì appena quindicenne. L’unico piccolo filo conduttore fu rappresentato dall’allieva Marie Mauté de Fleurville, che scoprì e insegnò a suonare il piano al piccolo Debussy, che tra l’altro riconobbe i meriti della sua insegnante, ma non lasciò a sua volta un’ eredità del suo bagaglio pianistico: fu questo il termine dell’ultima piccola appendice dell’arte chopiniana. Altra spiegazione possibile è data dallo sviluppo naturale che ebbe la forma del concerto pianistico; il concerto si trasferì poco a poco dai salotti, dai vari centri culturali nelle grandi sale da concerto o nei teatri. Qui, era necessario uno stile interpretativo più vicino a quello di Liszt e Thalberg incentrato sulla potenza sonora piuttosto che quello ricercato ed elegante di Chopin che si basava sul contrasto di sfumature sonore infinitesimali. D’altronde lo stesso Chopin non fu mai completamente apprezzato in queste grandi sedi proprio a causa del suo stile sobrio, elegante e garbato che non concedeva quella potenza d’esecuzione a cui si era abituato il pubblico.
Tuttavia, non si può nascondere il fatto che non tutto è andato perduto, dato che Chopin volle che le proprie composizioni manoscritte fossero distribuite ai suoi amici ed anche i fogli di redazione e le bozze ( che lui voleva fossero distrutte) furono conservati. Dunque, oggi sarebbe in parte ancora possibile, con uno studio attento e minuzioso, riesumare alcune delle peculiarità dello stile chopiniano, e sarebbe un gran scoprire; ci si renderebbe conto probabilmente che la maggior parte delle interpretazioni moderne non hanno praticamente nulla o quasi del suo stile e ciò sconvolgerebbe il modo di eseguire le sue fantastiche creazioni.
(Adolfo Capitelli, 1 luglio 2013)
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